venerdì 5 maggio 2017

3t-10-Verso il nichilismo: la dialettica hegelianailismo



















Verso il nichilismo


Partiamo dal ricostruire quegli elementi della storia della metafisica occidentale che preparano il nichilismo e il pensiero dialettico che stiamo affrontando e che è ad essa molto conseguente.

Le premesse più remote del pensiero dialettico sono senz’altro una crisi molto profonda che si produce nel pensiero moderno e che risale all’univocismo ontologico di Duns Scoto e di Guglielmo d’Ockahm, cioè allo studio dell'essere in quanto tale, nonché delle sue categorie fondamentali, non più sul piano analogico dell’essere, ma sul piano univoco e matematico.
Il piano analogico è quello della metafisica di Aristotele che procede nella comprensione dell’essere per analogie, come poi farà lo stesso san Tommaso e tutta la scolastica. Il piano univoco è quello matematico adottato dalla nascente scienza e che esclude tutto ciò che non è rigidamente misurabile.

Il realismo metafisico greco cristiano


Nella visione dell’essere analogica “L’essere si può dire in molti modi” vuol dire che quando uso la copula (il verbo essere) e dico per esempio che “Socrate è”, uso il verbo essere in modo completamente diverso, anche se analogo, da quando lo uso per esempio per dire “Socrate è vecchio”.
Quando dico che “Socrate è”, faccio riferimento alla natura e alla sostanza di Socrate, in quanto esistente e persona con tutte le sue categorie fondamentali. Quando dico che “Socrate è vecchio” alludo ad una sola qualità o attributo, che appartiene sì a Socrate, ma che non è fondativo come il precedente.
Il verbo essere non si usa sempre nello stesso modo, lo si utilizza in modo diverso a seconda del contesto. Il suo significato fondamentale è quello rispetto al quale assume senso ogni altro uso del termine essere ed è quello della sostanza.
La visione analogica dell’essere è il cuore del realismo metafisico greco cristiano. È il pensiero realista.
Si chiama pensiero realista in quanto ritiene che l’essere (gli enti, il mondo, le cose) sia una realtà dotata di un senso originario (gesto creatore di Dio) che è un nucleo di forza metafisico che struttura dall’interno e in profondità tutto ciò che è. Tutto ciò che è si appoggia su questo nucleo di forze che comprende  Forma e Sostanza, Spirito e Materia. In tutto ciò che è, si ha la Verità.
La sua forma e la sua essenza, sono la Verità che permette di conoscere la realtà. Verità che è data originariamente, che non è posta in essere dall’uomo. Non è il gesto di conoscere dell’uomo che produce il senso delle cose, ma semmai l’uomo conosce quando afferma quella verità che è già dentro nelle cose, quando le scopre, già fatte (create).
Questo è il realismo metafisico greco cristiano. Qual è la conseguenza antropologica, esistenziale, psicologica, spirituale, di tutto questo? È che l’uomo medioevale, dall’intellettuale all’analfabeta, ha dentro di sé ben marcato questo spirito, questa  cultura e questa sicurezza. È una cultura centrata sulla Verità. È un mondo sensibile all’elemento formale e quindi alla bellezza. L’uomo medioevale, grande pensatore o incolto contadino, respira questa atmosfera in cui la vita ha al suo centro un momento contemplativo.
La vita è vera, le cose sono vere,  perché c’è una verità che le precede, che le fonda, che è immutabile, che è riconoscibile, che viene insegnata. Questo spiega anche perché nel medioevo la persona colta è oggetto di un onore particolarissimo perché è il custode della verità, è un maestro che guida e insegna e conosce la politica, il diritto, la dottrina, la fede, la liturgia, l’essere. Insegna a riconoscere queste strutture profonde, eterne, immutabili che rendono la vita degna di essere vissuta.
I cristiani del medioevo erano orgogliosi del fatto che Dio si è degnato di chiamarli a vivere secondo una norma morale eterna (quindi ferma e sicura). In questo clima anche il contadino più umile che tutto sudato zappa la terra e strappa ad essa i sassi e le erbacce sotto la canicola del sol leone sa di poter divinizzare la sua vita così faticosa, semplicemente rispettando il decalogo che è eterno, immodificato e immodificabile. Dio si degna, attraverso i dotti, i Vescovi, i Sacerdoti, i Frati di chiamarli ad un compito così alto. Compito che ciascuno può far suo in piena libertà. L’inferno non è sentito come una minaccia e un castigo, ma come un segnale di pericolo a sostegno della scelta del bene, al conformarsi ad una norma eterna, ad allontanare la tentazione di usare male la propria libertà. La legge morale è sentita come una manifestazione di Dio stesso, non è altro da Dio. La legge morale è una porta che ci permette l’accesso a Dio.
Il medioevo è caratterizzato dall’irruzione del volontarismo francescano nell’interpretazione di Dio ed è essenzialmente contemplazione. Una società che contempla può costruire il Duomo di Siena in quattro secoli, il duomo di Milano in tre secoli. I medioevali che hanno voluto, progettato e costruito le loro cattedrali sapevano che non le avrebbero viste completate, eppure le hanno costruite ugualmente.
Gli scultori hanno costruito statue su guglie altissime che nessuno avrebbe comunque visto prima dell’avvento della fotografia, ma le hanno scolpite ugualmente perché le vedeva Dio e l’azione era quindi meritoria. Quello medioevale, è un mondo estremamente immobile, ma per questo più che dinamico, capace di un progresso autentico e umano, perché l’umano è fronteggiato dall’eterno. L’uomo non è qui esiliato in un movimento e in un divenire continuo che assomiglia di più all’inferno, dove tutto muta incessantemente ed è scompigliato da venti che vengono da ogni parte, non si sa più in che mondo si sta vivendo (la scuola post sessantottina ne è un esempio).
Il mondo del medioevo invece si pensa come immagine vivente e palpitante dell’Eterno è profondamente dinamico, abitato da una potenza sorgiva originaria che solo l’Eterno è in grado di scolpire nel cuore dell’uomo. Questo è il segreto delle cattedrali, sono l’immagine vivente dell’Eterno, questa immobilità che solca il tempo, fronteggiandolo e vincendolo.
La Verità precede l’essere. La Verità precede il mio gesto di conoscerla. Tutto è modellato dall’Eterno. Il tempo diviene, il mio corpo invecchia, ma io posso invecchiare e morire perché io mi posso nutrire dell’Eterno e faccio parte della sua eternità. L’Eterno è nel tabernacolo. l’Eterno è in me nell’Eucarestia. L’Eucarestia è il centro palpitante del Medioevo.

 l’Univocentrismo ontologico dell’età moderna


Il Medioevo ad un certo punto finisce, sorge l’età moderna, l’età borghese, sorgiamo noi. Con l’avvento del modernismo si ha l’avvento dell’univocentrismo.
Nell’Univocentrismo ontologico l’essere può essere detto in un solo modo, non in un modo molteplice. È possibile solo una colossale tautologia, una identità dell’ente in se stesso. In definitiva una sorta di verità autoevidente. L’essere è e non può non essere. L’essere è identico a sé.
Il primo principio della dottrina della scienza di Fichte è tutto fondato sul principio di identità (espressione moderna, romantica, idealista dell’univocismo) e non sul principio di non contraddizione. Il “principio di non contraddizione” afferma che è  impossibile a chicchessia di credere che una stessa cosa sia e non sia  allo stesso tempo (“È  impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appartenga a una medesima cosa”. Aristotele – Metafisica).

L’univocismo impedisce di pensare in modo analogico. Infatti il cristianesimo si è potuto integrare con la metafisica proprio perché è un pensiero analogico. Il pensiero analogico permette l’accesso a Dio partendo dal mondo. Permette di pensare a Dio senza confondere il mondo con Dio. Permette di pensare alla molteplicità gerarchica e articolata delle sostanze senza confusione e in modo ordinato. Posso predicare l’essere di Dio senza ridurre Dio al mondo o il mondo a Dio. Posso cioè pensare a Dio evitando panteismo e monismo. Dio diventa pensabile anche se lontano, perché non è infinitamente lontano.
L’Univocismo moderno questo non lo permette, Dio non è nemmeno pensabile perché è infinitamente lontano, è oltre l’essere. Dio posso afferrarlo solo sentimentalmente (Lutero). Questo esclude la possibilità di una lontananza prossima, con Dio, di una lontananza amichevole, di una lontananza mediata da uomini di Dio e dai Sacramenti.
Dio è l’uno tutto e si dissolve panteisticamente (Spinoza, Leibniz, ecc.) nel mondo. Nel mondo della natura o nel mondo di oggi della tecnica o dei poteri politici o di quelli totalitari. Oppure Dio è infinitamente lontano oltre ogni ragione e impensabile è il Deus absconditus” di cui parla Lutero (Lutero detestava Aristotele). Dio posso afferrarlo solo in un empito sentimentale, empito sentimentale che ricorda la notte in cui tutte le vacche sono nere, cioè dove tutto si confonde, dove tutto è possibile. È possibile sentirsi tutti fratelli (anche senza Dio), ma dove il dogma e la dottrina diventa male, perché analogici, razionali, trasparenti e quindi dividono (c’è chi sta di qui e chi sta di là). Il sentimento invece unisce. È predicata una misericordia senza dogmi, una misericordia senza dottrina, una carità senza l’obbligo della verità, una carità senza la pietrificazione raggelante della dottrina, dell’analogia, della ragione.

L’Anticristo

Possiamo parlare della chiesa dell’anticristo, stracolma di libertà a tutti i costi e quindi svincolata da qualsiasi dottrina o dogma. Essa si contrappone alla Chiesa cattolica. Chiesa cattolica che è una cattedrale costruita sulla fede e sulla ragione, sulla libertà responsabile, sulla dottrina e su precise e ragionate verità di fede. Verità che definisce con precisione e sicurezza a mezzo di una dottrina che stabilisce con rigore cosa è bene e cosa è male, cose è giusto e cosa è sbagliato, qual è il premio per chi agisce correttamente (Dio, cioè il Paradiso) e il castigo per chi rifiuta la rivelazione divina e le sue verità (Satana, cioè l’Inferno). Il modernismo considera tutto questo coercitivo, liberticida, opprimente e disumano nonostante sia il frutto di cinque secoli di lotte contro le eresie che avevano affinano la capacità dell’uso della ragione per combatterle e per definire al millimetro dogmi e dottrina, costati martiri fra i fedeli, fra  i loro vescovi e i padri della Chiesa.
La carità senza dottrina e senza ragione costituisce la chiesa dell’anticristo, che affascina con la sua carità filantropica senza limiti di sorta, completamente libera e che vuol dimostrare che la dottrina (e la morale) la soffoca e la recinge. Si vuol negare che la dottrina e la ragione  diano un senso pieno, un senso eterno e assoluto, oltre ogni limite umano. In altre parole la Carità con la lettera maiuscola, cioè quella fatta a imitazione dell’amore di Dio, viene scartata, è privilegiata quella fatta per soddisfare l’amor proprio e dimostrare che è l’uomo a decidere cosa è bene e cosa è male, non solo, ma ogni uomo ha diritto di decidere a modo suo.
Il perno del cattolicesimo invece è la Fede che, sostenuta dalla Ragione, produce la Carità. Non c’è Carità senza Fede. La dottrina (prodotto della ragione) scrupolosa e precisa è un manuale di istruzione per il cristiano. Il cristiano non può accettarne alcune parti e rifiutarne altre a seconda della sua disposizione d’animo o della sua situazione. La dottrina ha anche degli aspetti di severità e di condanna nei confronti del peccato e non disdegna di minacciare l’inferno pur di aiutare il cristiano a non peccare, a non cadere in tentazione, a non offendere Dio. È come la minaccia di una la multa o di una sanzione o della prigione se non si seguono determinate e prescritte norme di comportamento civile.  Il senso del peccato e il timore dell’inferno si ha solo se nel cuore e nella mente si ha la dottrina, la conoscenza del comportamento corretto e la coscienza che tutti siamo in difficoltà a vivere correttamente ma che vale la pena di tentarci. Non c’è Carità senza Fede, lo dice San Tommaso affermando che Carità è amore di Dio, Fede più forte, Timore più forte del fuoco dell’inferno tanto da preferire il martirio alla dannazione eterna.
San Giovanni Bosco (1876) nel suo “manuale del giovane provveduto” tratta per ben sei capitoli l’argomento inferno e ne usa uno solo per l’argomento paradiso. Don Bosco, il santo della pazienza, della mitezza, della carità, dell’accoglienza così portava alla fede i suoi ragazzi, così riempiva i seminari. I giovani avevano chiaro cosa sceglievano, cosa era il bene e cosa era il male e le sue conseguenze. Così si prendevano la responsabilità di salvare la propria anima e di aiutare il prossimo a salvare la sua. Chiarezza e precisione anche nelle cose più difficili da digerire, le così dette “vie strette”.
Il Catechismo di san Pio X (sempre presente nelle librerie cattoliche insieme al suo “Catechismo Maggiore” ed. Ares), nella sua semplicità e al contempo rigore, permetteva ai genitori di seguire i propri figli nell’apprendimento della dottrina cattolica (che mandavano a memoria) e dare la giusta enfasi anche agli argomenti più ostici come i novissimi (Morte, Giudizio, Inferno e Paradiso). L’esistenza dell’Inferno e la sua drammacità (la dannazione eterna) rimanevano ben segnati nei ragazzi che ne trovavano un riscontro anche nei castighi che ricevevano dai genitori quando disobbedivano. Ma se non c’è l’inferno e non ci sono i castighi,  crolla tutto, non c’è bisogno dei genitori, non c’è bisogno della Chiesa, non c’è bisogno che Gesù Cristo si faccia carico dei nostri peccati, non c’è bisogno di nessun tipo di sacrificio e di nessun Sacramento.
Nel Vangelo Gesù parla dell’inferno per ben 76 volte, perché il male affascina e se non esistesse il deterrente dell’inferno, molte più anime si abbandonerebbero ad esso.
Il regno  dei cieli  soffre violenza, e i violenti se ne impadronisconoVangelo: Mt 11,11-15. Che vuol dire che "il regno dei cieli si fa strada con violenza", cioè si stabilisce con forza (e sacrificio) a dispetto di tutti gli ostacoli che il demonio cerca di opporgli. La voce che l’inferno non esiste o è vuoto è una dei più grandi successi del demonio, come quello di far passare la Misericordia come qualcosa che manda in cantina il peccato mortale.
La madre quasi centenaria di un amico prete diceva a noi, che con il figlio eravamo andati a trovarla: “… quando i preti erano vestiti da prete e parlavano dell’Inferno, le Chiese erano piene”. Tutti risero. Io, che a suo tempo avevo imparato a memoria il Catechismo di Pio X e letto “il giovane provveduto”, non ho riso per niente [Ndr].
Il tema dell’anticristo è centrale nella visione cristiana della storia. Fin dal principio, l’angelo ribelle, maledetto da Dio, si oppose al Creatore per distruggere il progetto originario dell’Eden, cioè il capolavoro di Dio: l’Uomo. Come ha acutamente notato papa Francesco, non si può passare sotto silenzio l’agire del demonio col pretesto che la Bibbia ne parli poco, dal momento che, invece, la Sacra Scrittura si apre con il serpente della Genesi e si chiude con la sconfitta del drago infernale nell’Apocalisse. (Padre Livio – L’Anticristo – ed. Piemme)


La dialettica di Hegel


La dialettica, prima di Hegel,  è uno dei principali metodi argomentativi della filosofia. Essa consiste nell'interazione tra due tesi o princìpi contrapposti ed è usata come strumento di indagine della verità. L'etimologia della parola deriva dai termini della lingua greca antica dià-legein (cioè «parlare attraverso», ma anche «raccogliere») + tèchne, ovvero "arte" del dialogare, e del riunire insieme.
Con Hegel la dialettica si trasforma da strumento ad uso della filosofia a unico scopo della filosofia. Mentre per i neoplatonici la dialettica serviva come strumento per  raggiungere la verità,  Hegel fa coincidere la verità con la dialettica, cioè col divenire. Ricapitolando quanto già esposto ricordiamo che per Hegel l'Assoluto coincide con la ragione e con la realtà; grazie alla ragione si coglie il punto di vista dell'Assoluto, e in essa l'Assoluto giunge alla sua piena Autocoscienza, cioè diventa Spirito.


L'Assoluto giunge alla sua piena autocoscienza attraverso questo procedimento: l'Assoluto esce da se stesso e si aliena nella natura, cioè si perde negli oggetti, qui diventa spirito, che può essere colto solo in maniera mediata, attraverso il suo tragitto storico, grazie alla dialettica, che è il motore del divenire della realtà ed è il metodo grazie al quale è possibile giungere ad una conoscenza scientifica dell'Assoluto (che procede per tappe legate l'una all'altra). La dialettica di Hegel è concepita come forma di conoscenza dinamica che procede, come abbiamo già visto, secondo tre momenti: tesi, antitesi, sintesi. 
La tesi si identifica con l'intelletto, che produce idee e concetti; esso ha il compito di distinguere e separare; però, si irrigidisce in queste separazioni.
L’Antitesi. Con l'antitesi, le rigidezze provocate dall'intelletto vengono superate grazie alle contraddizioni che l'antitesi manifesta verso i concetti prodotti dalla tesi; infatti, qui ogni idea (o concetto) si rovescia in quella contraria.
La Sintesi. Infine, abbiamo la sintesi, nella quale si realizza l'unità delle idee contrapposte, incontrate nella tesi e nell'antitesi. Nella filosofia hegeliana la sintesi rappresenta un ritorno alla tesi; ovviamente un ritorno arricchito da tutto ciò che è stato discusso nell'antitesi (processo circolare). Tuttavia, affinché tutto ciò si realizzi, c'è bisogno di mediare fra loro le idee contrapposte (presenti in tesi e antitesi) e ciò può essere possibile attraverso la "mediazione dialettica", grazie alla quale le due idee contrapposte vengono fatte uscire dal loro isolamento, si collegano l'una all'altra, fino a scoprirne l'unità (sintesi). L'esempio più tipico del legame tra tesi, antitesi e sintesi è la triade essere, non-essere, divenire.
Attraverso questo metodo, Hegel si pone l'obiettivo di conoscere l'assoluto. Per Hegel c'è un primo momento in cui l'Assoluto corrisponde alle idee e ai concetti del pensiero, e viene studiato dalla logica (questa fase corrisponde alla tesi); c'è poi un secondo momento in cui la sostanza assoluta si esteriorizza, esce fuori di se diventando altro da quello che era prima e dando origine al mondo materiale della natura. Nel sistema hegeliano questo punto corrisponde alla filosofia della natura (è l'antitesi). C'è infine il terzo momento (sintesi) in cui lo spirito ritorna a se stesso con una maggiore consapevolezza e solo con la sintesi emerge il dinamismo d’ogni aspetto della realtà.


A questo momento corrispondono le grandi creazioni della spiritualità umana come l'Etica, la Storia, lo Stato, l'Arte, la Religione e la Filosofia, che vengono studiate dalla filosofia dello spirito. In base a questi tre momenti di sviluppo dell'Assoluto, Hegel dunque, come abbiamo già visto nei “capisaldi del sistema”, distingue il proprio sistema in tre parti: logica (tesi), filosofia della natura (antitesi) e filosofia dello spirito (sintesi).

Hegel e l’Univocismo


Hegel eredita da Kant il pensiero univocista, perché Kant è figlio dei pensatori univocisti: Cartesio, Spinoza, Leibniz, Locke, Hume e radicalizza il “cogito” cartesiano. Kant cioè sprofonda nell’”io penso” trascendentale. Il cuore dell’Io è la Ragione e il cuore della Ragione è il Tempo. Il Tempo è la materia prima nella quale è impastata la struttura del ragionare, della “ratio”.
Fino a Kant, in modo implicito e con l’idealismo in modo esplicito, permane ancora una certa residualità del realismo. Ma con Hegel, l’essere è il pensiero dell’uomo, Dio è il pensiero dell’uomo, l’assoluto è il pensiero dell’uomo.
Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832)
Proviamo a spiegarlo utilizzando la libertà dell’uomo. La libertà dell’uomo è inspiegabile in termini immanentistici (cioè che permangono, che non sono passeggeri). La Libertà, come la Ragione, come l’Autocoscienza, postulano ed esigono l’assoluto Dio, per essere spiegabili in termini prettamente razionali e filosofici. Infatti gli antichi greci, usando la ragione hanno dovuto per forza giungere a Dio. Il pensiero moderno invece è intimamente ateo. Rinuncia a Dio, con un atto che potremmo definire anche diabolico, dovuto a Goethe più che agli idealisti. Ricordiamo il famoso episodio del Faust, dove Faust, che vive tutto ciò che è possibile vivere, legge, in un impeto di fervore religioso, il prologo dell’evangelista Giovanni: “In principio era il Verbo (il Logos)…” e dice “no, non può essere, il principio non era il Verbo, era la Ragione”.
La rinuncia di Dio è ormai caratteristica lampante del modernismo e ce lo spiega anche il fatto che Goethe è un grande massone, Fichte è un grande massone, Kant è un grande massone, Schelling è un esoterista e studioso di magia, Hegel fiancheggia gli “illuminati di Baviera” una loggia praticamente di satanisti.
Per il modernismo univocista Dio è la Ragione, Dio è il pensiero, quindi l’uomo, generatore del pensiero, è Dio. “Se mangerete del frutto proibito diverrete come Dio” (Genesi).

Hegel, nel 1801, afferma che è vero solo ciò che è abitato da una profonda originaria contraddizione. Ciò che non si contraddice è falso. “Contradictio est regula veri, non contradictio falsi”. Possiamo aggiungere anche Spinoza che dice: “omnis determinatio est negatio”. Il che vuol dire che quando dico che “Socrate è buono” intendo dire che “Socrate non è tutte le altre cose diverse dalla bontà”. L’ente incorpora come suo fondamento opaco, cieco, il nulla, il non essere.
La dialettica è il tentativo di dire questa cosa terribile: il non essere precede e fonda l’essere. È lo stravolgimento della metafisica e del cristianesimo. È il non essere che palpita nelle cose, che le mette in movimento malgrado loro, le fa accadere, le rende storiche. Non c’è più l’Eterno immutabile, non c’è più Dio. C’è solo il gioco di un eterno divenire, di una marcia continua, una marcia insonne. Una marcia sul posto però perché è un divenire apparente, quindi immobile perché circolare. È la borghesia, dice Hegel, che si alimenta con la gazzetta economica del mattino, quasi fosse una preghiera e una religione. La preghiera dell’uomo moderno è la lettura delle notizie finanziarie (oggi anche dei telegiornali). Il presente che diventa assoluto, non ha più passato, non ha più futuro. La storia, dell’uomo, e quindi anche la mia storia è l’unica cosa reale, legata al tempo e ad un divenire continuo e ossessivo e quindi anche atroce, freddo, insignificante (da piccolo borghese) che si interrompe solo con l’uscita dal tempo, con l’Eschaton, il regno immediatamente successivo alla fine del mondo e della mia vita.
Hegel che non crede in Dio o non vuol credere in Dio, si rende conto che se Dio non c’è, c’è sicuramente la Ragione e quindi la Ragione è Dio e l’uomo che la usa è Dio. L’uomo Dio con la ragione guida l’intelletto e la volontà e crea la storia. La storia diviene, Dio diviene. Se non c’è più la verità, tutto è verità. Se non c’è più la fede siamo tutti fratelli (negli inni patriottici e sulla carta d’identità), se non c’è più la fede anche la carità ha solo una valenza filantropica, di soddisfazione personale  e spesso fatta per sentirci superiori a quelli che aiutiamo.
È vero ciò che trionfa nel presente attraverso quel Genio della storia che è la violenza, la legge del più forte, la sopraffazione del più debole, in altre parole la guerra, grande madre e genitrice di tutto ciò che è. È il ritorno di Eraclìto l’oscuro.
La guerra è l’atto nichilistico, violento, rivoluzionario che impone al presente una verità creata dalla prassi demiurgica dell’uomo, trasformatrice, gnostica, dalla frenesia attivista dell’uomo (che palpita in ogni eresia) e pilota la falsa carità filantropica di organizzazioni, che fanno anche delle cose buone, ma senza fede. Alcune infatti delle più note organizzazioni filantropiche internazionali sono emanazioni della Massoneria o ad essa collegate.
Ci sono per esempio ospedali del Grande Oriente d’Italia in Africa e analoghe associazioni atee presenti in varie località del terzo mondo che salvano bambini, curano ammalati e contemporaneamente si preoccupano dell’incremento demografico dei poveri e li istruiscono sulle pratiche abortive (Save the children, Unicef, ecc.) o testano farmaci per le industrie occidentali, ecc. Ci sono anche Associazioni cattoliche che cadono in alcune di queste trappole, specie dove c’è poca fede e più attenzione all’efficienza che all’amore per i bisognosi (i piccoli del Vangelo).
Il modernismo ha sconvolto l’ordinato mondo greco cristiano proteso verso la ricerca della verità e di Dio. Il modernismo ha gridato “Dio siamo noi”, ha mescolato l’essere con il non essere, ha spento l’illuminazione divina di sant’Agostino, ha cancellato il rigore della Summa Teologiae e ha trasformato il tempio della Ragione e della Fede in prigione. L’uomo di oggi, figlio del modernismo è come un astronauta che si è perso nello spazio perché non riesce più a trovare il cavo che lo collegava alla sua astronave (Dio).

“In principio erat Verbum”

(Omelia di J. Ratzinger 1984)
In principio era il Verbo”. Questa antichissima e veneranda affermazione non ci appare più oggi granché evidente, abbiamo già visto come Goethe fa dire al suo Faust: “non posso stimare così tanto la parola”, e perciò traduce  “in principio fu la ragione e l’azione”. I fisici dicono: “in principio fu il Big Bang”.
Tutto questo, però, se riflettiamo bene, non ci appaga, è  insufficiente. Per questo torniamo di nuovo al Verbo di cui parla la Bibbia. Per comprenderla dobbiamo leggerla per intero, poiché la frase suona: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”. Ciò vuol dire : in principio era Dio, Dio è il principio, la sorgente di tutte le cose. Esse scaturiscono dallo Spirito Creatore, dal Dio che è il Creatore. E se egli viene denominato “il Verbo”, ciò significa che in principio vi era un Dio, vi è il Senso. In principio vi era il senso creatore: egli chiama il mondo all’esistenza, e il senso è per così dire il basamento saldo su cui l’universo poggia, il fondamento dal quale traiamo la nostra origine, su cui ci è dato di consistere, al quale possiamo affidarci.
Quando però nella Bibbia è scritto “In principio era il Verbo”, ciò significa qualcosa di più. Qui il “senso” di cui si parla non è simile ad un primo principio matematico che per così dire governa l’universo dall’alto della sua inarrivabile intangibilità. Si dice invece che questo “Dio”, che è verità, spirito, razionalità e senso, è al tempo stesso “Verbo”: cioè il nostro “interlocutore” per eccellenza; anzi egli stesso si rivolge a noi per primo, in un atto di donazione originaria. Egli è sempre e continuamente un “nuovo inizio”: e così è anche per noi fonte di speranza sempre nuova e sprone ad un nuovo passo sul nostro cammino.
(Omelia inedita di Joseph Ratzinger nell’ottantesimo del “Katholikentag” tedesco, 5 luglio 1984)

Commento di don Claudio Crescimanno


   
Siamo alla conclusione di questa tappa della filosofia moderna o rivoluzione moderna. Abbiamo fatto insieme un percorso di circa seicento anni che ci hanno fatto capire questo: siamo davanti ad una grande alternativa, che è un po’ presente in tutta la storia della filosofia, ma che in questo periodo è stata molto combattuta. L’alternativa è: “o l’Assoluto sono Io”, “o l’Assoluto è un altro da me”. Nelle due tappe precedenti della filosofia antica e della filosofia medioevale abbiamo avuto la certezza che l’Assoluto è altro da me, in questa terza tappa la conclusione è stata che l’Assoluto sono Io. Abbiamo davanti una ultima tappa per verificare ulteriormente la risposta a questa fondamentale domanda. Fondamentale domanda dalla cui risposta si tireranno altrettanto fondamentali conseguenze, decisive e concrete per ciascuno di noi e per la vita che viviamo nella nostra attuale società.

Protestantizzazione della Chiesa Cattolica di J. Ratzinger


Chi oggi parla di “Protestantizzazione” della Chiesa Cattolica, intende in genere, con questa espressione, un mutamento nella concezione di fondo della Chiesa, un’altra visione del rapporto fra Chiesa e Vangelo. Il pericolo di una tale trasformazione sussiste realmente.
Il protestantesimo è nato all’inizio dell’epoca moderna ed è pertanto molto più apparentato, che non il cattolicesimo, con le idee forza che hanno dato origine al mondo moderno. La sua attuale configurazione l’ha trovata in gran parte proprio nell’incontro con le grandi correnti filosofiche del XIX secolo. Questo suo essere molto aperto al pensiero moderno è la sua chance, e nel contempo la sua fragilità.
Così, proprio presso teologi cattolici, che non sanno più cosa fare della teologia tradizionale, può formarsi l’opinione che nel protestantesimo si possano trovare già tracciate le vie giuste per l’intesa tra la fede e il mondo moderno. Il cristiano medio di oggi trae da questo orientamento il principio che la fede nasca dall’opinione individuale, dal lavoro intellettuale e dall’intervento dello specialista; e una simile concezione gli sempbra più “moderna” ed “evidente” che non la posizione cattolica. È quasi impossibile per la coscienza di molti, oggi, capire che dietro una realtà umana sta la misteriosa realtà divina. Ma è questa, in verità, la concezione cattolica della Chiesa. (tratto da: Joseph Ratzinger – Rapporto sulla fede – 2005)

Quid est veritas? di J.Ratzinger


L’idea che, in ultima analisi, sia indifferente utilizzare questa o quella formula, seguire l’una o l’altra tradizione, è penetrata profondamente nel mondo occidentale. La verità sembra altrimenti irraggiungibile, e reputare che la fede cristiana sia vera specialmente nel suo nucleo fondamentale – che sia cioè la Verità – ci ripugna, ci appare esattamente come una presunzione da occidentali. Ma se fosse davvero così, tutto ciò per cui ci affatichiamo non sarebbe se non apparenza. Anche il nostro culto sarebbe allora insincero, noi stessi saremmo esseri senza alcuna verità sostanziale.
Ma dove non c’è più verità alcuna, si può allora modificare qualsiasi criterio valutativo, e, in ultima istanza, dovunque fare in un modo e nell’esatto suo contrario. L’aver rinunciato alla verità mi pare il vero e proprio nucleo della nostra crisi odierna. Dove però la verità non offre più terreno solido, là anche la solidarietà comunitaria – peraltro, ancora tanto considerevole – finisce per sfilacciarsi, poiché anch’essa resta in ultima istanza senza radici.
In questa misura, dunque noi viviamo secondo l’interrogativo di Pilato, apparentemente tanto umile, ma in realtà così presuntuoso: “Quid est veritas?” ( Ma che cos’è la verità?). Proprio così, però, noi prendiamo posizione contro Gesù Cristo. Certo quando gli uomini credono di poter disporre a buon mercato, e con troppo fiducia, della libertà è il momento in cui si corre un rischio davvero enorme. Ma un pericolo ancora maggiore incombe là dove l’evidenza comune, la validità e l’obbligatorietà vincolante dell’affermazione del vero vengono addirittura considerate come un qualcosa che non sarebbe più in alcun modo possibile e attuabile. (tratto da: Joseph Ratzinger – Zeitfragen und christlicher Glaube – 1983)

“Veritas vos liberat” di J. Ratzinger


Un cristianesimo che veda il suo proprio compito solo nel mostrarsi, in ogni campo, pienamente all’altezza dei tempi, non ha più nulla da dire, né più alcun senso. Può tranquillamente ritirarsi in disparte”.
Se cioè il cristianesimo si comporta come un partito o una ideologia preoccupata solo di raccogliere consensi, di alzare l’”audience” mediatica, e di riempire le chiese, perde tutta la sua “novità”. La “buona novella” è la stessa per l’uomo di ieri e per l’uomo di oggi e per quello di domani, perché l’uomo in ogni latitudine e in ogni epoca è sempre la stessa creatura di Dio  che anela a Lui anche se spesso inconsciamente. L’amore che Dio ci dona e che aspetta che noi lo si accetti è sempre lo stesso, ieri, oggi e domani, sia che per viaggiare usiamo una lettiga o un jet.
Coloro che vivono con animo vigile nel mondo odierno, che conoscono le sue contraddizioni e le sue tendenze distruttrici, che vanno dall’auto annichilimento (perdita di ogni volontà e capacità di reazione) della tecnica, alla distruzione dell’ambiente fisico, all’auto annichilimento della società nei contrasti fra le razze e le classi sociali, [costoro] non si aspettano una “benedizione cristiana” della situazione di fatto, bensì il “sale della profezia”: che brucia, purifica, accusa e trasforma. Ecco dunque entrare nel nostro campo visivo uno dei tratti essenziali della “conversione cristiana”: essa esige il cambiamento dell’uomo, perché la salvezza si attui. [il cambiamento della Società, caso mai, potrà essere una conseguenza]. Non è perciò l’ideologia dell’”adattamento” [o del rinnovamento] quello che in verità “salva” il cristianesimo (e riempie le chiese)”.
Ciò che davvero invece può giovare al cristianesimo è solo il coraggio profetico di far sentire la sua peculiare e caratteristica voce proprio in questo “momento” della storia (ich et nunc, qui ed ora), facendo valere il suo inconfondibile e liberatorio messaggio”. (tratto da J. Ratzinger “Elementi di teologia fondamentale” ed. Morcelliana 1986)

Non si riempiranno le chiese perché molti ancora diranno “ il tuo parlare è duro, chi lo potrà seguire?” ma Gesù risponderà “Se rimanete nella mia parola, siete realmente miei discepoli, e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi” [da ideologie liberticide e antiumane] Giovanni 8-31, 32

Il pensiero unico e “Il padrone del mondo” di R. H. Benson

 

(di Caterina Maniaci, tratto da http://www.korazym.org, 25 nov. 2013)
All’inizio del Novecento un certo numero di autori e di libri si sono concentrati su un mito e su una profezia: quella dell’Anticristo, dell’utopia che si trasforma in incubo, il pensiero unico dominante, la fine dell’uomo. Prima fra tutti il racconto L’Anticristo, contenuto nei Tre dialoghi di Vladimir Soloviev, nel 1900. Profezie angoscianti, che di lì a pochi decenni si sarebbero, almeno in parte, storicizzate in regimi disumani e criminali, come il nazifascismo e il comunismo. ( Per un approfondimento vedi:
Ma le profezie non si sono compiute solo in queste incarnazioni storiche delle aberrazioni denunciate. E forse il peggio deve ancora arrivare. Nell’omelia del 18 novembre a Santa Marta papa Francesco ha preso spunto dalla rivolta dei Maccabei contro le potenze dominanti dell’epoca per vibrare un gran colpo a quel progressismo adolescenziale, presente anche in ambiente cattolico, disposto a sottomettersi alla uniformità egemonica del pensiero unico frutto della mondanità. Il pensiero unico che domina il mondo, ha spiegato il Papa, legalizza anche “le condanne a morte”, e “i sacrifici umani”. “Ma pensate che oggi non si facciano, i sacrifici umani? Se ne fanno tanti, tanti! E ci sono delle leggi che li proteggono”.
Difficile non vedere in questo grido di dolore di papa Francesco le innumerevoli vite umane “sacrificate” sul nascere con l’aborto, o “scartate” con l’eutanasia.
Sandro Magister nel suo blog “Settimo cielo”, fa notare, come “i media di tutto il mondo hanno ignorato questa omelia di papa Francesco, che in effetti contraddice clamorosamente gli schemi progressisti, o addirittura rivoluzionari, con cui egli viene generalmente descritto”.
Nel puntare il dito su “questo spirito di mondanità che porta all’apostasia”  il Papa ha citato uno di quei romanzi profetici d’inizio Novecento che è una delle sue letture preferite: “Il padrone del mondo” di Robert H. Benson, sacerdote anglicano, figlio di un arcivescovo di Canterbury, che si convertì al cattolicesimo.
Scritto nel 1907, il romanzo  racconta l’ascesa del grande filantropo Giuliano Felsemburgh, democratico, fautore della pace mondiale, che vuole realizzare un mondo ideale con l’avvento di un nuovo umanitarismo che predica la tolleranza universale, annullando le differenze fra le religioni e quindi di fatto azzerandole.
La Chiesa Cattolica non accetta la situazione  e quindi, proprio in nome della tolleranza, viene perseguitata  fin quasi alla sua completa eliminazione. Impressiona la descrizione realistica  di fenomeni ed elementi del “mondo che verrà” come le comunicazioni istantanee che collegano ogni luogo, trasporti aerei e sotterranei, luce solare artificiale, un parlamento europeo, attentati con kamikaze, il crollo della Russia, la crisi delle vocazioni, l’apostasia di preti e vescovi, la persecuzione e la solitudine del Papa.
Però nel Padrone del mondo  risulta evidente che la fede cristiana rischia di scomparire non tanto per le persecuzioni, ma a causa dell’influenza della religione umanitaria del relativismo. Ma, secondo Benson, “non prevalebunt” perché l’unico Salvatore non abbandona il suo popolo. (Robert Hugh Benson, Il padrone del mondo, nuova edizione, traduzione di Paolo Nardi, Verona, Fede & Cultura, 2014)

Il "padrone" di Benson colonizza il mondo

(Articolo di A. Zaccuri, Avvenire, 21 gennaio 2015)
«Dimostra all’incirca trentatré anni, rasato, portamento sicuro, capelli bianchi, occhi e sopracciglia
scuri. È rimasto immobile con le mani sulla ringhiera, ha accennato un solo gesto che ha procurato
un sussulto alla folla, ha detto quelle poche parole lentamente, scandendole, con voce decisa. Poi è rimasto in attesa». Magari non sapete chi è, ma lo avete senz’altro riconosciuto. Non è Hitler né
Mussolini, e neppure Stalin, anche se si comporta come loro. Può darsi che nemmeno le generalità
anagrafiche siano di grande aiuto, per non parlare della qualifica ufficiale, prezidante de Europo,
ovvero “presidente d’Europa” in esperanto.
Eppure, se diciamo che Julian Felsenburgh è Il Padrone del Mondo, in un modo o nell’altro ci si
capisce al volo, e non solamente perché il capolavoro di Robert Hugh Benson (1867-1914) è il
romanzo che, da qualche tempo in qua, il Papa cita e consiglia con maggior frequenza. È tornato a
farlo anche un paio di giorni fa, sul volo di ritorno dalle Filippine. Rispondendo alle domande dei
giornalisti che gli chiedevano di spiegare meglio il concetto di “colonizzazione ideologica” evocato
nel corso dell’incontro con le famiglie a Manila, Francesco si è così espresso: «C’è un libro –
scusatemi, faccio pubblicità – c’è un libro, forse lo stile è un po’ pesante all’inizio, perché è scritto
nel 1907 a Londra… A quel tempo lo scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione
ideologica e lo descrive nel suo libro “Lord of the World”, che  vi consiglio di leggere».
Non è la prima volta, dicevamo, che papa Bergoglio si richiama a questo libro, peraltro molto amato anche dai lettori italiani. Pubblicato a metà degli anni Settanta […]
Il padre di Benson, il reverendo Edward White Benson, fu arcivescovo di Canterbury e primate d’Inghilterra tra il 1883 e il 1896. Robert – ultimo di una nidiata di sei figli – ne seguì inizialmente le orme entrando nel clero anglicano, ma nel 1903 chiese di essere accolto nella Chiesa cattolica, con una decisione che, sia pure a lungo meditata, non mancò di suscitare scalpore. Nell’autobiografico Confessioni di un convertito (Gribaudi), lo stesso Benson raccontò con estrema franchezza che a farlo incamminare verso Roma era stato, almeno inizialmente, un desiderio di maggior universalità. E la distinzione tra universalità e universalismo è probabilmente uno dei motivi per cui papa Francesco raccomanda con tanta insistenza Il Padrone del Mondo.
Alessandro Zaccuri  
 



Nessun commento:

Posta un commento